news

next events

Dewey Dell

Grave BUDA kunstencentrumKortrijk, BelgioDebutto1 e 2 dicembre 2011
luogo durata
Presentations
01/12/2011
02/12/2011
think tank / interventi

DA MOVING AL PROGETTO FOCUS
OVVERO L'INESISTENTE CHE SI FA SCENA
di Paolo Ruffini

«Non c'è ordine sociale e politico senza frontiere che separino un noi da un altro. La nozione di ordine modella anche quella di spazio e di tempo. In altre parole, la costruzione dell'ordine implica la legittimazione di un referente temporale determinato, in modo che il gruppo possa ancorarsi al proprio passato e costruire, a partire da quel modello, i propri progetti futuri». Sono parole dello storico dell'arte Viviana Gravano che, per contrapposizione, ci introduce al concetto di identità e autobiografia rispetto al "fare" di alcuni artisti contemporanei (nel suo caso trattatasi della videoarte); una condizione decisamente estetica ed esistenziale dei protagonisti presi in considerazione, che la Gravano individua come una nuova soggettività artistica in grado di dirci molto del tempo in cui viviamo grazie anche, anzi soprattutto, alla capacità di elaborare percorsi creativi che diventano collettivi, a partire però da una nuova elaborazione di sé.
Allo stesso modo, un simile processo appartiene anche ad altri protagonisti della scena contemporanea che agiscono invece nel contesto delle arti sceniche, e in particolare sono quei "figli" di esercizi creativi che con la danza intrecciano stratagemmi e idioletti spesso eversivi. In questo senso, un approccio critico simile a quello della Gravano ci ha aiutato (e ancora alimenta il nostro pensiero) a comprendere come il fare scenico di una generazione, l'ultima, decisamente spostata su una elaborazione della propria soggettività ormai definitivamente fuori dagli schemi (gabbie di riferimento) della sola arte scenica teatrale o coreografica che sia, ci porti definitivamente verso un altrove tutto ancora da indagare e da decodificare. Lo sguardo sulle generazioni ultime è e rimane un approccio "politico" dell'esperienza di Moving prima e del progetto Focus poi, nata come "osservatorio" internazionale e nazionale della coreografia (poi via via spostandosi sempre di più nel grande bacino della performance e delle azioni iperconcettuali), per definirsi successivamente come "contesti" e "sguardi" promessi all'attenzione e alla cura di artisti sicuramente fragili, il più delle volte soli e poco tutelati. Da sempre il progetto, nato a Fabbrica Europa e che con il tempo ha coinvolto altre strutture e luoghi nel costruire un percorso di residenze creative, molto prima che questo termine andasse di moda in altre parti d'Italia, si è posto l'obbiettivo di promuovere artisti meno frequentati, sostenerne l'immaginazione e la provocatoria incandescenza creativa. D'altronde, ci troviamo di fronte a processi creativi, attitudini sceniche o fisicità espresse come esercizi d'arte che hanno bisogno di uno sguardo multiplo come prismatici sono gli "spettacoli" che propongono, che si rappresentano in un indefinito e disincantato gioco di specchi, dentro una dialettica rovesciata che azzera la meraviglia dell'effetto scenico (qualsiasi essa sia, anche la più virulenta e dura) e dove il sentimento dell'altro presuppone il superamento del limite degli interlocutori; fra spettatore e attore, fra colui che guarda e colui che agisce: ci si chiede spesso, allora, chi è Alice e chi Luis Carroll?
Chi voglia indagare oggi le evoluzioni e le interferenze, ma anche solo le trasformazioni genetiche della danza contemporanea (e sul termine contemporaneo non pochi trabocchetti ci attendono), non può non tenere conto di altri o nuovi presupposti scientifici da approfondire (studi esterni alla disciplina stessa, per esempio), o di ulteriori e inusitati territori di comparazione (quei labili confini che una volta erano del teatro o della musica, mentre si sono aperti poi al pop come a trash, al virtuale come al fumetto, alla fotografia come al cinema). Per questo, e non solo per questo, il progetto è diventato un progetto/piattaforma in cui si incontrano e si scontrano diverse sensibilità, dall'operatore al critico, dall'artista al programmatore, nella osservazione di materiali spesso informi nei quali ci si preoccupa di individuare una essenza sbilanciante, che poi è la tensione che ci interessa sostenere. Si è detto anche in altre sedi che la recente generazione di coreografi e danzatori italiani sembra portare alle estreme conseguenze quell'esercizio teorico, di lavoro e d'analisi sul linguaggio danzato (e gestuale) che ha accompagnato - seppure con sfumature e accenti diversi - l'esperienza creativa di molti artisti negli ultimi quindici anni, compresi quelli di generazioni precedenti. E fino a qui nulla di nuovo: quanta avanguardia e postavanguardia con annessi Anni '90 hanno frammentato, decostruito, ricompattato e inabissato nel visivo o nel concettuale lo spettacolo e la performance? Il problema, anche rispetto al termine "contemporaneo", è il luogo da cui si parla, diceva Antonio Attisani, quella scena oggi non più, o comunque non solo, occidentale vista da un punto di fuga meno compromissorio. Ecco una questione: la scena occidentale che vede se stessa.
Credo di poter dire sempre con maggior convinzione che sia il teatro che la danza, evidentemente una certa area del teatro e della danza, o ancora meglio alcuni registi e/o coreografi che in questi anni hanno destrutturato il loro rispettivo segno nella prospettiva di immaginare un nuovo habitat concettuale all'interno del microsistema dello spettacolo contemporaneo, questi artisti, dicevo, sono rappresentativi di quell'idea di "spettacolo contemporaneo" che è altro dalla danza o dal teatro stessi, non è più solo teatrodanza o nondanza, certamente avvicina le arti visive ma le riformula con indisciplinata anarchia.
Ne risulta il persistente domandarsi del linguaggio sul senso del corpo, dello spazio e del tempo. Ancora una volta, ma con urgenze, anche sociali, che affrontano tematiche quali la rappresentazione dell'altro, il potere della cultura (sia in senso di liberazione che di coercizione) e l'estetizzazione della politica.
Ultima, ma non ultima, è la funzione ancora tutta da indagare che attiene allo spettatore, riguarda la percezione e la fruizione dell'opera, sicuramente più problematica e che molto ci dice anche del nuovo ruolo che viene ad assumere lo spettatore in questo contesto di doppio registro scenico (lo sguardo dello spettatore sull'opera, lo sguardo del danzatore sul suo farsi opera), uno spettatore finalmente non ignaro né irresponsabile. In questa disamina del presente, dunque, ci si propone ancora di cercare l'ovvietà dell'urgenza dei giovani artisti, una sorta di paradossale ossimoro laddove per nulla ovvia è la loro ricerca.